“Essere, non essere, questo il problema”!
Ho deciso di partire dal famoso dubbio Amletico, per parlare di un tema che può sembrare banale o troppo scontato, ma che invece, racchiude in se ogni scelta della vita presente, passata e soprattutto futura: la Felicità!
Scontata la risposta di scegliere di vivere, sempre e comunque .
Vivere è gioire, vivere è patire, vivere è sognare, vivere è combattere, vivere è amare, vivere è morire..
La vita è un dono, e ciascuno ha il dovere di vivere secondo la propria anima, secondo la propria esistenza. Il problema, tuttavia, è capire di che colore è questa esistenza, perché ciascun essere umano ha la facoltà di decidere quale colore assegnarle. Perché la Felicità, e dunque, lo stile di vita è soggettivo e mai potrà essere oggettivo; ciascun essere umano è unico e come tale irripetibile, artefice dei suoi progetti, non standardizzabile e non programmabile. E credo che questa fortuna, per molte persone, sia vista come una tragedia, come un grande problema, perché preferirebbero essere ciò che vuole il prossimo, piuttosto che essere ciò che si è. Perché bisogna avere coraggio e tanta forza di volontà e tanta stima in se e nella propria anima per scegliere di essere ciò che si vuole, per decidere di colorare la propria esistenza con colori soggettivi, unici, a volte anche caotici, ma personali ed in quanto tale giusti e decorosi, che meritano rispetto.
Oggi, ma forse sempre, l’uomo vive in affanno, alla ricerca estrema di questa Felicità. Ma cos’è la Felicità??
Dicono che sia quell’insieme di emozioni e sensazioni del corpo e dell’intelletto che procurano benessere e gioia. Dunque essere felici significa provare sensazioni piacevoli, significa essere e fare ciò che si desidera. Dunque, sono le emozioni che ci fanno gustare la vita ed è proprio dalle emozioni, piccole o grandi che siano, che l’uomo da un senso alle sue giornate. Del resto come si potrebbe dire di vivere appieno se non si sperimentassero mai la gioia, il tremito dello smarrimento o della paura, l’impeto della passione, della rabbia, le palpitazioni dell’amore, l’abbandono alla nostalgia, il peso e la disperazione provocate dalla sofferenza, dall’ingiustizia o dall’impotenza? Quanti stati e gradi sono le note dell’emozione …, infinite come gli accordi, come i numeri, come il cielo.
La Felicità può essere considerata come il provare ciò che esiste di bello nella vita, dunque restringendo il campo alle sole sensazioni positive. Sicuramente non è un’emozione oggettiva, né può essere considerata come un evento del destino, ma è una capacità individuale da scoprire.
Ecco, quest’ultimo concetto è interessante: capacità individuale; la vita, dunque le emozioni ed in sintesi la Felicità è una capacità personale, intima, soggettiva, per l’appunto individuale.
Allora come mai nel corso degli ultimi anni, la Felicità è diventata un’ossessione?? E soprattutto, come mai la Felicità è diventata oggettiva e dunque collettiva?? Perché sembra che essere felici significhi realizzare e dunque possedere solo certi beni materiali, una certa posizione sociale e dunque professionale. Essere felice significa possedere quello che hanno gli altri. Essere felici significa fare quello che fanno gli altri.
Sembra che esagero? Magari. Invece, è nata una totale spersonalizzazione anche dei desideri e dei sogni, in quanto quello che conta non è ciò che si vuole, ma ciò che bisogna avere per essere parte della società contemporanea. Non so se sono stati più bravi coloro che hanno introdotto il mercato consumistico o le persone che hanno abbandonato ogni emozione intima per decidere di apparire più che essere!
Sicuramente la comodità, il lusso, il bello, la novità sono accattivanti per tutti, ma restano oggetti, restano cose materiali, come è stato possibile che prendessero il posto delle emozioni, dei sentimenti, dei sogni? Come è potuto accadere che ciò che fa sentire realizzata una persona è quanto è riuscita ad accumulare in banca sul suo conto corrente, piuttosto che quanto abbia creato e dato con la sua esistenza?
Da sempre si è convenuto che esistono vari gradi di felicità, e che accanto a quelli primari e basilari esistono anche quelli non necessari, come la ricchezza, o la bellezza, ma questi ultimi sopraggiungevano solo dopo la realizzazione dei primi; oggi, invece, assistiamo all’annientamento della personalità individuale a fronte dell’omologazione, della standardizzazione. Quello che è diventato importante è essere felici non per se stessi, ma per realizzare gli standard di felicità conto terzi. Sicuramente la televisione, ed ancor di più internet, i social, hanno acuito fino ad esasperare totalmente questo appiattimento delle persone, specialmente dei ragazzi, i quali figli di genitori vittime del consumismo e della globalizzazione, sono stati schiacciati dalla spersonalizzazione totale della propria identità grazie alla pubblicità, alla moda dell’essere ricchi, belli, spensierati, magri, sportivi, senza pudore, senza morale, senza educazione, senza regole.
Non voglio (e non è affatto nel mio essere) generalizzare, per cui, so che per fortuna questo non impatta tutti, ma certamente, dato il contesto storico in cui viviamo è vero che impatta significativamente la maggioranza delle persone e dei ragazzi.
Il paradosso di questa situazione è che per rincorrere a tutti i costi questo tipo di felicità, si perde ogni possibilità di essere felici!
L’edonismo estremo ha distolto l’essenza del vero bello assoluto: quale una vera amicizia, quale la bontà d’animo, l’educazione, la gentilezza, l’intelligenza e la conoscenza.
Leggere è un ricordo del passato, appartiene a chi è vecchio, guardare youtube o mettere un like su facebook, invece, è da fighi.
La società consumistica fa brillare davanti agli occhi delle persone molte false promesse di felicità legate al consumo di oggetti, all’aspetto fisico, alla riuscita sociale. Coloro che soccombono a queste offerte passano molto spesso da desideri saziati a nuovi desideri insoddisfatti, dunque da una frustrazione all’altra. E questa rincorsa, oltre a snaturare il proprio essere, allontana sempre di più la vera felicità, perché gli ostacoli e le distorsioni hanno accecato la vista, e non si vede più il traguardo della vita, l’essenza stessa della vita: la famosa esistenza!
Tuttavia, premessa questa tendenza, è doveroso fare u’altra riflessione che sconvolge, paradossalmente, tutto quanto enfatizzato e sottolineato. Infatti, si è parlato di felicità per quel che si è e per come si è e per quello che soddisfa se stessi, si è parlato di felicità come espressione e sintesi di emozioni positive, ma la domanda che dobbiamo sollevare come cittadini è la seguente: come si fa ad essere felici, anche rinunciando ai beni materiali superflui o inutili o che rappresentano solo uno stupido stereotipo e status symbol, quando attualmente non è consentito ESSERE? Quando si è privati dell’esistenza? Quando ci è impedito di realizzarci? Come persone, come individui, come famiglia, come professionisti e lavoratori…. Come si può pensare ad essere felici quando la mente è impegnata nei problemi e negli ostacoli quotidiani?
La società, lo Stato istituzionale deve porsi questa domanda, perché ha snaturato e delegittimato ogni diritto dell’uomo (o meglio solo della maggioranza dei cittadini meno abbienti o nuovi poveri); il diritto al lavoro, il diritto alla salute, il diritto all’eguaglianza soprattutto davanti alla legge, il diritto ad avere pari opportunità, il diritto a realizzarsi come persona ed a concorrere col proprio operato alla crescita della sua nazione. Sono stati compromessi e calpestati tutti i diritti inviolabili dell’uomo e si può ancora parlare di felicità??
Solo i falsi moralisti, gli ipocriti possono ripetere (per auto convincersi eventualmente) che i soldi, il lavoro, non fanno la felicità. Perché oggi non si parla di superfluo, di lusso, ma di beni essenziali alla sopravvivenza. Famiglie senza tetto, senza lavoro, senza protezione medica, senza soldi per mantenere DIGNITOSAMENTE i figli. Ecco, DIGNITÀ’, questa parola racchiude e sostanzia il motivo stesso per cui oggi per coloro che sono poveri, che hanno mille difficoltà da affrontare, non è possibile nemmeno sognare. Certo la speranza solleva l’animo, ma non fa che lenire un dolore inguaribile, perché sono i fatti ed i cambiamenti che possono legittimare il riaffiorare di emozioni positive, gioiose. Certo, chi ha una grande anima è fortunato, perché nonostante le avversità, la povertà, il dolore ed i problemi riesce magari a sorridere o arricchirsi dinanzi ad un tramonto, ad un cielo stellato, facendo una passeggiata vicino al mare, ma poi? Cosa porta in tavola ai suoi figli? L’aria del piacere spirituale?
Vergogna. Si, solo vergogna per coloro che hanno calpestato i diritti di milioni di persone, alcune delle quali così deboli e fragili che hanno optato per “Non Essere”, come proponeva il nostro Amleto. Perché vivere comporta Libertà di pensiero da affanni, dolori e disagi, per cui quando la mente e l’anima sono prigioniere, come si può essere liberi di vivere? Come si può assaporare l’esistenza e colorare la vita di mille emozioni se non si può vivere ma solo sopravvivere?
Ottimismo, forza d’animo, fiducia, sono sentimenti che aiutano a sopportare, ma che non bastano per liberare l’animo e far si che le emozioni siamo padrone della propria esistenza.
Ecco, dunque, due argomenti che sembrano paralleli ma che, invece, si accavallano e che sono l’uno il completamento dell’altro. Dunque, mi permetto di sollevare un’eccezione (deformazione professionale) nei confronti della filosofia verso la felicità: tutto è relativo. Ma tutto, per fortuna, può solo cambiare.
Morale: Felici di ESSERE!!!!!